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L’isola di Abel Ferrara “I film di Rosi e Germi sono stati le mie guide”

L’isola di Abel Ferrara “I film di Rosi e Germi sono stati le mie guide”

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Tipologia:  Articolo

Testata:  La Repubblica, ed. Palermo

Data/e:  28 novembre 2014

Autore:  Umberto Cantone

Articolo: 

A vederlo, Abel Ferrara è come te l’eri immaginato: un omino di 63 anni coriaceo e sgualcito, dall’espressione frastagliata (che d’improvviso da buffa può farsi feroce), e un’allure solidamente malinconica da toreador della vita, bravo a nascondere le cicatrici di esperienze estreme con quella causticità che possiede solo chi è caduto ed è riuscito a risorgere, negli anni, non una ma cento volte.

Palermo che non ha mai visitato, come la Sicilia del resto, sembra essere per lui, cineasta onnivoro e ubiquo nato nel ribollio del Bronx (come Stanley Kubrick), un approdo naturale, per via di quelle radici italiane da sempre ostentate con fierezza, assieme al sodalizio con lo sceneggiatore Nicky St.John (italoamericano come lui e suo complice dai tempi dei primi Super- 8), alla memoria del nonno “originario di Sarno” che da bambino riuscì a non farlo mai sentire solo, e al meno piacevole ricordo della ex moglie virago di origine sicula, capace di picchiare a sangue una rapinatrice che, di notte, l’aveva aggredita mentre lui stava a guardare inebetito.

Non è un mistero, per altro, che Ferrara sia reduce da vicissitudini vampirizzanti (alcol e droga) e che ne sia ormai definitivamente uscito grazie a un nuovo rapporto amoroso e a una recente adesione al buddhismo. La rabbia esistenziale di un tempo afferma di essersela lasciata alle spalle: “È servita per esorcizzare qualche fraintendimento con gli altri”.

Da noi è arrivato per la tenacia del regista Franco Maresco, suo sodale elettivo sul versante dell’inquietudine e dell’ombrosità iconoclasta, che ha organizzato i due giorni di “Abel, domani a Palermo” con l’Associazione Lumpen e la collaborazione dei “Cantieri del Contemporaneo”.

Affiancato dallo sceneggiatore Maurizio Braucci e dal montatore Fabio Nunziata, suoi nuovi partner affiatati, Ferrara dichiara ora il proprio entusiasmo:

“È tutta la vita che sognavo di venire a Palermo. Ho letto i romanzi e ho visto quasi tutti i Germi, Visconti e Rosi ambientati dalle vostre parti. Ma le idee più forti sulla Sicilia provengono dai racconti dei miei amici e colleghi che hanno piantato le loro radici in questa terra e che hanno imparato ad amarla.”.

Il suo sguardo si accende solo quando parla delle proprie relazioni personali, è facile intuire che per lui il vissuto viene prima di tutto.

Unitamente all’avventurosa biografia, a insegnarcelo sono stati i film della sua quarantennale e febbrile carriera, alcuni levigati, altri più sregolati (da prosodista “bop”), migrazioni da un genere e da un formato all’altro (noir, mélo, fantascienza, splatter, commedie, videoclip e, forse, un porno), fino alla docu-fiction Napoli Napoli Napoli e agli ultimi simil-biopic, visionari e riflessivi, dedicati uno alla sordida vicenda di Strauss-Kahn (Welcome to New York con Depardieu) e l’altro alle ultime ore romane di Pasolini, perturbante tributo al proprio maestro riconosciuto, trasfigurato da Willem Defoe.

E l’occasione palermitana ha condotto Ferrara a confrontarsi nuovamente con un film dove egli ha declinato il legame sentimentale con le proprie origini italiane. Parliamo di Fratelli del 1997 (proiettato ieri sera al cinema Gaudium), aspro kammerspiel gangsteristico, per l’ultima volta in coppia con St. John scrittore, nel quale i fratelli mafiosi del titolo si ritrovano a piangere sul cadavere del più giovane di loro meditando una vendetta che, una volta consumata, provocherà nemesi e rovina.

Un film animato da uno dei temi propulsori del cinema di Ferrara, quello dell’amicizia e della solidarietà, (soprattutto tra gli ultimi della società, tra i loser e gli outsider),del valore degli affetti minacciato dai rapporti di classe e dal lato oscuro della natura umana.

Ferrara lo ribadisce, ancora oggi, accorato: “Ognuno è tuo fratello, ogni singolo essere umano: lo è stato, lo è e lo sarà per sempre”. Quanto alle possibilità di rivalsa dei vinti,  “l’idea stessa è sinonimo di sconfitta”. L’unica via di emancipazione rimane, per lui, quella di “affermare la propria forza e libertà interiore”.

Saranno questi e altri nodi, relativi allo stile e alla filosofia del nostro cineasta eclettico e ispirato, a essere sciolti stasera alle 21 sul palco del Cinema De Seta nell’incontro tra lo stesso Ferrara, Maresco, Braucci, Nunziata e Fulvio Baglivi di Fuori Orario. Si scoprirà forse quanto mediterranea è la matrice del misticismo ruvido e fervente, dell’idea di colpa e redenzione che sono altri motivi ricorrenti dei suoi film, insieme a tono e coloriture di quella profondità ossessivamente ricercata che gli fece dire a proposito del suo corrosivo Il cattivo tenente, “Nessuno può capirlo, per questo piace a tutti. Ma se lo vedessero dentro, allora, ne sarebbero terrorizzati”.

Una cosa è certa: questo ineffabile zio del Bronx sa ancora sorprenderci.

E così, quando gli chiediamo se per lui il cinema può essere ancora “la lingua della realtà”, invece di mandarci a quel paese, ci risponde che “lingua della realtà lo sarà sempre, visto che il cinema è la lingua dei sogni”.

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