La febbre dell’oro (The Gold Rush) di Charles Chaplin – Dvd dell’edizione restaurata
Regia:  Charles Chaplin
Genere:  Commedia
Origine:  Stati Uniti
Anno:  1925
Da vedere:  * * * * *
Sceneggiatura:  Charles Chaplin
Cast:  Charles Chaplin, Mac Swain, Tom Murray, Georgia Hale, Betty Morrisey, Malcom White, Henry Bergman
Formato:  Dvd a 2 dischi. Video: 4:3 - 1.33:1 / Audio: Dolby Digital 5.1 e 1.0 mono
Edizione:  Prima italiana del 2003 (Charlie Chaplin Collection) contenente l'edizione sonora 1942 restaurata e l'edizione muta originale del 1925
Casa di produzione:  MK2 Editions / Warner Home Video
Lingua:  Inglese, Italiano, Francese
Numero copie:  1
Durata:  96 minuti (per ogni edizione) + 60 minuti di contenuti speciali
Sottotitoli:  Italiano, Inglese, Francese, Tedesco, Spagnolo, Portoghese, Arabo, Bulgaro, Rumeno, Olandese
Direttore della fotografia:  Rollie Totheroh e Jack Wilson
Musiche:  Charles Chaplin, Carli D. Elinor
Colore/BN:  Bianco e nero
Note: 
Prima edizione italiana in Dvd di La febbre dell’oro (The Gold Rush,1925) di Charles Chaplin. Si tratta dell’edizione in due dischi della MK2 prodotta nel 2003. Il film viene presentato nella versione, realizzata da Chaplin nel 1942, con l’aggiunta del sonoro (Disco 1) e nella versione muta originale restaurata (Disco 2).
Contenuti:
The Gold Rush versione 1942 con materiale video e audio inedito proveniente dagli archivi della Fondazione Chaplin.
The Gold Rush versione originale del 1925 restaurata da Kevin Brownlow e David Gill – Al pianoforte Neil Brand, che interpreta melodie tratte dalla composizione originale del film composte da Charles Chaplin e Carli D.Elinor
Chaplin Today – La febbre dell’oro : documentario di Serge Le Péron con la partecipazione di Idrissa Ouedraogo (26 minuti)
Prefazione video di David Robinson, biografo di Charles Chaplin (6 minuti)
Galleria fotografica e Trailer
Sinossi: 
Un ingenuo vagabondo, intenzionato a fare fortuna, sfida le avversità del rigido freddo dell’Alaska e s’immerge nel rude mondo dei cercatori d’oro, animato dalla febbre di rivalsa che lo accomuna nell’impresa agli avventurieri, ai derelitti, ai fuggiaschi, alle donne che popolano questo universo selvaggio. Una tormenta di neve lo spinge a cercare riparo in una capanna sperduta dove si è stabilito Black Larson, un malvivente su cui pende una taglia della polizia. Questi vorrebbe ricacciarlo fuori, e il vagabondo viene salvato dall’intervento di Big Jim Mc Kat (in italiano Giacomone), il quale è stato sballottato dal vento dentro la capanna mentre un’enorme pepita d’oro gli stava rivelando la posizione di un giacimento. Big Jim e Black Larson si fronteggiano aspramente e, dopo una colluttazione, è il primo ad avere la meglio imponendo la propria supremazia. I tre uomini sono costretti a convivere nell’angusto rifugio. La fame, gli stenti, e il vento che non accenna a placarsi, convincono i tre a tentare un’uscita forzata in cerca di viveri. Tocca in sorte a Black Larson di avventurarsi tra i ghiacci per dirigersi verso il villaggio minerario. Egli però si imbatte in due poliziotti sulle sue tracce, li affronta a colpi di pistola uccidendoli e impossessandosi della loro slitta e dei loro viveri.
Intanto, nella capanna, il vagabondo cucina una delle sue scarpe e la mangia come se fosse una pietanza prelibata. Big Jim, sconvolto dalla fame, ha una visione in cui il suo compagno di sventura si trasforma in una gallina. Terrorizzato dalla prospettiva di finire in padella, il vagabondo si prepara alla fuga. Ma la visita inaspettata di un grizzly e la sua fortunosa cattura interrompono il digiuno e la convivenza forzata. Dopo essersi rifocillati, i due decidono che è arrivato il momento di dividersi: ognuno seguirà la propria strada in cerca di fortuna.
Big Jim scopre che Larson ha trovato il suo giacimento e ne sta sfruttando la concessione. L’uomo decide di affrontare il suo bieco rivale. Nella lotta che ne deriva, Big Jim è colpito alla testa e perde la memoria. Larson si allontana trionfante ma poi precipita in un burrone per il distacco di uno spuntone di montagna.
Intanto, il vagabondo giunge al villaggio minerario dove c’è un tabarin. Qui s’ invaghisce di Georgia, una delle soubrette del locale. La disinibita ragazza si beffa di lui per fare ingelosire il suo prepotente corteggiatore Jack, e così lo sceglie come partner danzante. Ma dopo un giro di valzer con l’avvenente Georgia, il vagabondo finisce per capitombolare per terra trascinato da un cane inopportuno. Per consolarlo e come sfregio a Jack, Giorgia gli regala un fiore. Quando Jack, sempre più aggressivo, insegue la sua preda, l’omino si frappone tra i due. Inizia una lite: l’aitante Jack ha gioco facile col suo esile contendente e gli infila il berretto sugli occhi. L’omino sferra allora un colpo alla cieca su un pilastro di legno. Il contraccolpo provoca il distacco di un orologio dal ballatoio che finisce sulla testa di Jack stordendolo. Quando l’omino si risistema e scorge l’avversario svenuto, si convince di averlo messo al tappeto e si allontana inorgoglito dal locale.
Arrivato al villaggio, il vagabondo si finge svenuto per ricevere assistenza dal generoso ingegnere minerario Curtis, che lo rifocilla nella sua capanna. Quando Curtis parte con un socio per una lunga spedizione, all’omino viene affidato l’incarico di badare alla capanna in sua assenza. Un giorno, Giorgia e le sue amiche, intente a giocare sulla neve, si ritrovano nei pressi della capanna di Curtis. L’omino si accorge della presenza dell’agognata ragazza e invita il suo gruppo ad accomodarsi. Sotto il cuscino del giaciglio del vagabondo, Giorgia scopre il fiore da lei regalato e la propria foto strappata che, in precedenza, lei aveva gettato in faccia allo spasimante Jack dopo una lite. S’intenerisce ma poi, convinta dalle sue amiche, decide di gabbarsi dell’omino cominciando a vezzeggiarlo. Un fiammifero caduto sulla scarpa di tela del vagabondo genera un piccolo incendio che rompe il finto idillio. Risolto l’incidente, le ragazze se ne vanno con l’ingannevole promessa di tornare a cena per l’ultimo dell’anno. L’omino però è al colmo di gioia e si mette a fare le capriole nella stanza della capanna, festeggiando tra una cascata di piume che fuoriescono da un cuscino rotto. Giorgia si è dimenticata i guanti e, tornando dentro, si meraviglia che il suo scherzo abbia provocato tanta euforia e imbarazzo.
Ormai infervorato, l’omino decide di guadagnare qualche soldo spalando la neve. Ne butta cumuli interi davanti alle abitazioni adiacenti alla sua facendosi poi pagare dai vicini, fino a quando non fa la stessa cosa sulla soglia della prigione, e desiste dall’impresa.
Anche Big Jim è giunto al villaggio. La sua amnesia non gli impedisce di riconoscere nel vagabondo il suo compagno di avventura. E così lo coinvolge nella ricerca del rifugio che li aveva ospitati in precedenza, nei pressi del quale si trova il suo giacimento d’oro. All’omino non resta che tentare di salutare frettolosamente Giorgia. A dargli coraggio è un altro equivoco: un biglietto di scuse che la fanciulla ha rivolto a Jack ma che l’omino crede sia rivolto a lui.
Il vagabondo e Big Jim, diventati milionari, s’ imbarcano sul piroscafo che li riporterà in patria. Qui la stampa li intervista e fotografa, chiedendo al vagabondo di posare davanti ai fotografi coi suoi abiti da cercatore per far apparire la storia più vera sui giornali. Giorgia si trova sullo stesso piroscafo senza sapere della presenza dei milionari. La ragazza apprende da un ufficiale che a bordo c’è un clandestino. Quando il vagabondo inciampa e precipita coi suoi vecchi abiti vicino a lei, Giorgia lo protegge dai marinai si offre di pagare il suo biglietto. Ma l’omino è ormai ricco e può permettersi d’invitare la ragazza a cena, davanti ai giornalisti e agli ammirati ospiti del piroscafo. Il lieto fine è annunciato: il vagabondo e Giorgia vivranno la loro storia d’amore.
IL FILM
« Charlie Chaplin per The Gold Rush si ispirò alle cronache relative ai cercatori d’oro nelle terre più impervie dell’America settentrionale che ebbe il suo culmine sul finire del XIX secolo. In particolare, l’idea gli venne dopo aver visto a casa dei suoi amici attori Douglas Fairbanks e Mary Pickford (assieme ai quali aveva fondato la United Artists nel 1919) una serie di diapositive che ritraevano questi avventurieri nelle montagne innevate del Klondike in Canada e dopo aver letto in un libro la storia di un gruppo di emigranti diretti in California nel 1845 che, bloccato tra i ghiacci della Sierra Nevada, per sopravvivere si ritrovò a mangiare cani, vestiti e cadaveri dei compagni che non erano sopravvissuti.
Da questi avvenimenti Chaplin costruì la trama per il suo terzo lungometraggio, che uscì nelle sale cinematografiche nel 1925. La lavorazione del film fu tutt’altro che semplice sia dal punto di vista tecnico che dall’insorgere di imprevisti. Il principale fu quello relativo all’attrice che doveva impersonare Georgia, la donna di cui è innamorato il vagabondo. In un primo momento infatti, fu scelta la sedicenne Lita Grey, che già aveva recitato nella parte di un angelo in Il monello. La giovane però intrattenne una relazione con Chaplin durante la lavorazione del film e rimase incinta. Oltre a doversi sposare con Lita (da cui ebbe due figli, Charles Jr. e Sidney), per evitare scandali, Chaplin dovette trovare un’altra interprete per il film che stava girando. La scelta cadde su una attrice in ascesa, Georgia Hale, di cui Chaplin era rimasto colpito dopo averla vista recitare in The Salvation Hunters di Josef von Sternberg.
Il resto dei comprimari si compose di attori che già avevano lavorato con Chaplin, tra cui Mack Swain (che interpreta Big Jim) e Henry Bergman (nella parte di Hank Curtis, il proprietario della casa in cui va ad abitare il vagabondo una volta giunto nella cittadina). Anche la costruzione dell’ambientazione fu laboriosa. Inizialmente le riprese si svolsero presso Trukee, una località montana della Sierra Nevada, dove venne girata la scena di apertura, per la quale vennero reclutati 600 vagabondi e derelitti di Sacramento come comparse. In seguito il film venne girato in studio, nell’assolata Hollywood, dove venne ricostruita la località montana utilizzando legno, reti metalliche, teloni, gesso, sale e farina per rendere al meglio il panorama innevato. Ottimo fu anche il lavoro dei tecnici degli effetti speciali, che costruirono un modellino per la capanna sull’orlo del precipizio.
Il risultato di un anno e mezzo di lavorazione fu un film di grande successo, che ancora oggi non smette di emozionare, di far ridere e di commuovere. In fondo, come è scritto anche nei titoli di testa, si tratta di “una commedia drammatica”, e infatti Chaplin, partendo dalla realtà, volle trasformare la tragedia in commedia. Così il mito americano della frontiera e dei cercatori d’oro, descritto con crudezza, si carica di ironia e critica sociale. Allo stesso modo di altri suoi film (Tempi moderni, Il grande dittatore), il dramma personale e sociale è inserito in un contesto storicamente definito, in questo caso quello della corsa all’oro nel Nord America che raggiunse il suo apice intorno al 1898. Ed è proprio in questa occasione che le vicissitudini umane si fondono con gli imprevisti che si devono affrontare in un ambiente così ostile come l’Alaska. Non sono solo le altre persone e la società nel suo complesso a costituire un ostacolo per il povero Charlot, ma sono soprattutto la Natura e il Caso che accrescono i fardelli creando le condizioni per una lotta per la sopravvivenza che ben si addice a un ambiente di quel tipo e in quel preciso contesto.
Così, nella prima parte del film, ci troviamo di fronte tre avventurieri: uno è il nostro Charlot, sprovveduto ma ingegnoso omino in cerca di fortuna; un altro è Big Jim McKay (in italiano Giacomone), un omone che invece ha appena trovato una miniera d’oro ma che i forti venti spingono lontano e che per una serie di avvenimenti nel corso della storia perderà la memoria e, momentaneamente, il suo oro; e poi c’è Larsen, un ricercato dalla polizia, che si è rifugiato in una capanna tra le nevi e che alla prima occasione cercherà di farla franca con l’oro altrui. Il panorama di personaggi è in fondo un affresco dei tipici uomini della frontiera: chi cerca qualcosa, chi di deve fuggire, chi finisce vittima di qualche disastro naturale.
Anche nella cittadina, in cui si svolge la seconda parte della pellicola, vi è una rappresentazione che rimanda al western: la sala da ballo, la ragazza contesa, il prepotente di turno.Un mondo duro, in cui tutti sono avidi e spietati. In tutto questo c’è la variabile Charlot con la sua tenerezza, la sua ingenuità, i suoi occhi sognanti e i suoi momenti di malinconia. Egli infatti, oltre a dover patire la fame e le intemperie, soffrirà anche la solitudine. Emblematica è la notte di capodanno, in cui il vagabondo ha preparato in casa il cenone per Georgia e le sue amiche, che sarebbero dovute essere ospiti. L’attesa però è vana ed egli ha tutto il tempo per appisolarsi e sognare di intrattenere le convenute con una danza coi panini (una delle scene più conosciute del film). Si risveglierà allo scoccare della mezzanotte, quando nella sala da ballo della cittadina (in cui c’è anche Georgia abbracciata allo spavaldo Jack) si canta e si beve con gioia. A Charlot non rimane che ascoltare dalla sua casa la classica Auld Lang Syne, poi dirigersi mestamente verso il locale e una volta giunto là, guardare da fuori il mare di gente che festosamente occupa il salone. Questa, come altre scene (ad esempio quella in cui il vagabondo entra per la prima volta nel locale e viene inquadrato di spalle) descrivono in maniera perfetta gli stati d’animo di Charlot. I suoi movimenti, la sua andatura o una determinata postura che assume valgono più di mille parole.
Indimenticabili molte sequenze: quella iniziale con i cercatori d’oro che salgono la montagna innevata; Big Jim che, provato dalla fame, ha le allucinazioni e vede Charlot sotto forma di un enorme pennuto pronto per essere divorato; Charlot che cucina la sua scarpa per se’ e per il compagno, la mangia e se la gusta pure, girando i lacci come se fossero spaghetti; la già menzionata danza dei panini infilati nelle forchette; la capanna in bilico sul pendio; il finale sulla nave quando Charlot ormai miliardario grazie alla miniera trovata da Big Jim, rincontra Georgia, ma sempre nei suoi panni di vagabondo perché stava posando per un servizio fotografico della stampa. Proprio attraverso questo duplice lieto fine, in cui Charlot trova la ricchezza e l’amore, il regista ci fa riflettere. Perché è vero che con l’oro lui e Big Jim sono diventati ricchi, ma è anche vero che Georgia quando lo rincontra sulla nave lo trova nei suoi soliti poveri abiti, non sapendo in un primo momento chi è diventato, e quindi amandolo per quello che è. Ancora una volta, dunque, Chaplin critica velatamente la società americana. Non è il successo in quanto tale a dare misura della felicità, ma l’amore.
Come raccontò in un’intervista di parecchi anni dopo la stessa Hale, il bacio finale tra Charlot e Georgia in posa davanti al fotografo sulla nave, fu piuttosto prolungato e la scena venne fatta ripetere più volte da Chaplin. Tra il grande regista e l’attrice, come fece capire quest’ultima nel corso dell’intervista, ci fu per lungo tempo una romantica amicizia e lei stessa confessò di aver amato Chaplin per tutta la sua vita. Forse fu anche per questo aspetto personale che la sequenza finale del bacio venne tagliata dalla versione sonorizzata realizzata da Chaplin nel 1942 che si conclude invece con i due che si tengono per mano, in un finale più “casto”.
Di La febbre dell’oro infatti esistono due versioni. Anni dopo l’uscita del film Chaplin decise di adattare il film per il pubblico che ormai si era abituato al sonoro. Compose quindi una colonna sonora apposita e inserì dei suoni e dei commenti vocali recitati da lui stesso (togliendo dunque le didascalie che accompagnavano il film muto) ed eliminò anche qualche breve scena (tra cui appunto quella del bacio). Nel complesso la pellicola della versione sonora risulta ridotta a 69 minuti (dagli 81 originari). Negli ultimi anni è tornata a galla l’edizione del 1925 interamente restaurata. In questa edizione del Dvd a doppio disco si trovano entrambe le versioni. Difficile dire quale sia migliore tra le due. La versione del 1925 è quella originaria ed è anche la più lunga. La riedizione del 1942 ha una bella colonna sonora.
La febbre dell’oro rimane uno dei capolavori di Chaplin, forse il suo film muto più complesso e paradigmatico.Un’opera a cui lo stesso Chaplin era particolarmente affezionato, al punto da dire in seguito che avrebbe voluto essere ricordato proprio per questo film. »
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