giovedì, 12 Settembre 2024

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“Quella scappatella di Delon con la fidanzata di Alberto Sordi”, in “la Repubblica/Palermo”, martedì 20 agosto 2024

“Quella scappatella di Delon con la fidanzata di Alberto Sordi”, in “la Repubblica/Palermo”, martedì 20 agosto 2024

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Tipologia:  Articolo

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QUANDO DELON FECE INGELOSIRE ALBERTO SORDI

 

A giudicare dai rotocalchi all’epoca delle riprese, il meno richiesto tra le star protagoniste era proprio lui, il 27enne Alain, che con il suo charme levigato ma così “canaille” sembrava fatto apposta per fissarsi nell’immaginario come un perfetto Tancredi di Tomasi in Technirama.

In quell’estate del ’62, cover e titoloni sull’attesissimo Gattopardo del conte rosso Visconti esaltarono specialmente Lancaster/don Fabrizio e Claudia Cardinale/Angelica, lui la star hollywoodiana senza la quale per la Titanus “addio ai dollari della 20th Century Fox”, e lei la più fulgida delle neodive del made in Italy al suo zenit che Visconti aveva scelto nonostante fosse contemporaneamente impegnata nella lavorazione di Otto e mezzo del rivale Fellini.

E anche Delon rischiò di non farlo, quel ruolo siciliano che il demiurgo Luchino, masochisticamente innamorato di lui (tanto da perdonargli il fatto di non aver mai ceduto alle sue voglie), aveva pensato per la sua consacrazione internazionale dopo Rocco e i suoi fratelli.

Un anno prima, gli aveva pure impiattato un debutto da protagonista, sulle scene francesi, per un Peccato che sia una sgualdrina di Ford a fianco della ventenne Romy Schneider, che di Alain fu il primo vero amore (e che sia stato il suo più grande ce lo ha svelato lui stesso in una lettera testamentaria diffusa prima della sua morte, a 88 anni, avvenuta l’altro ieri).

Per le repliche di quello spettacolo elisabettiano, accolto male dal pubblico nonostante la firma di Visconti, Delon – già divo in patria – perse l’occasione stellare di partecipare nientemeno che al Lawrence d’Arabia di Lean nella parte che lanciò Omar Sharif. In più, aveva dovuto subire una sfuriata di Luchino, che arrivò ad accusarlo d’ingratitudine solo per aver pensato di lavorare in quel film.

Alain incassò l’offesa e poi si vendicò a freddo tenendo sulle spine il suo mentore per il ruolo di Tancredi, accettando di partecipare, nelle stesse date di lavorazione del Gattopardo, alla debordante impresa di un film su Marco Polo girato in Jugoslavia.

Per punirlo Visconti decise di sostituirlo con Tomas Milian (però anche lui impegnato) e persino con Warren Beatty.

Ma poi la produzione del Marco Polo s’impantanò e Luchino non si fece scappare l’occasione di imbrigliare nuovamente il “suo” turbolento Alain, che aveva imparato da giovanissimo (anche quando, arruolatosi nei Marsouins, era stato in seguito radiato per insubordinazione) a non lasciarsi domare da nessun superiore, e quindi nemmeno da lui (“Luchino lo trasformò come attore ma non come persona”, dichiarò una volta Adriana Asti che conosceva bene entrambi).

In verità, a Delon il ruolo del nipote di don Fabrizio inizialmente non piaceva. In un’intervista a l’Ora dichiarò di sentirsi “troppo giovane” per la parte di quel “principe dell’800, dal carattere un po’ malicieux”. Ma poi aveva accettato la sfida con puntiglio e dedizione (come ha fatto sempre nel corso della sua lunga carriera, tutta segnata da scelte ponderate quando non coraggiose).

All’inizio della lavorazione, che si preannunciava faticosissima sotto la canicola agostana (a Palermo si arrivarono a toccare i 46 gradi), Visconti provò a lusingare il suo pupillo. Gli riservò l’unica roulotte a disposizione della troupe (Lancaster dovette arrangiarsi) e gli offrì un’intera ala della residenza che aveva affittato per il suo soggiorno palermitano, l’ex Tonnara Bordonaro di Vergine Maria ristrutturata e interamente arredata a proprio gusto.

Alain declinò l’invito preferendo una camera a Villa Igea. Fu libero così di scatenarsi nelle sue notti brave utili a sfogare frustrazioni e risentimenti per i ripetuti rimproveri a cui il regista iniziò a sottoporlo, ciak dopo ciak. Per la scena dell’inseguimento in soffitta con Angelica Delon subì rimproveri talmente umilianti davanti alla troupe da spingerlo a ritirarsi in un angolo a piangere.  Ma al calore delle lacrime subentrò il gelo del risentimento per l’orgoglio ferito: quell’episodio convinse Alain a chiudere, al termine dei giorni siciliani, il proprio rapporto con Luchino. E così fu, sul piano professionale e umano.

Nello stesso tempo aveva capito quanto contasse per lui quel film non solo climaticamente arroventato. Capì che non poteva lasciarsi smontare dal suo crudelissimo mentore.

Per evitare guai e intoppi evitò di scorrazzare in auto, spaventato da un incidente in cui Lancaster, a Mondello, aveva travolto due ragazzi in scooter. Niente doveva deconcentrarlo dal lavoro sul suo Tancredi.

Niente tranne le più desiderabili tra quelle mantidi che, dentro e fuori il set, non vedevano l’ora di portarselo a letto (l’unica che gli resistette fu la Cardinale, magnetica quanto lui).

Da buon tombeur, Alain provocava e si faceva desirare, tra un twist e l’altro nei night palermitani dopo gravose lezioni di mazurca e valzer a cui si obbligava in vista della scena clou del ballo nelle maledette 36 notti in cui si girò, grondando sudore, a Palazzo Gangi.

Tra le tante prede acchiappate al volo, ce ne fu una di troppo: Norma Bengell, conturbante starlette brasiliana che Alberto Sordi esibì come propria partner sullo schermo e nella vita quando visitò il set viscontiano, limitrofo a quello dove lui girava Mafioso diretto da Lattuada. L’inferno scoppiò quando Sordi, insospettito, bussò alla porta della camera d’albergo di Norma, e Norma gli disse aspetta ora vengo, e lui apri o sfondo la porta, e Delon nel frattempo in fuga seminudo sul cornicione come in un Feydeau o in un Neri Parenti qualsiasi. Finì a ceffoni, con Sordi a fare lo gnorri il giorno appresso, e Norma in preda ad amour fou sedato da psicofarmaci. Anni dopo, l’attrice commentò così l’episodio nelle sue memorie: “Eravamo molto simili, Delon e io: belli, liberi, leggeri, sciolti e giovani”.

Fu il chiacchiericcio su quell’episodio di “scioltezza” ad allarmare la fidanzatina distante Romy, a cui il fidanzatino Delon telefonava a ogni fine riprese, con fare ora rassicurante ora perturbato. Lei decise prontamente di raggiungerlo sul set e i due si rinchiusero, per riconciliarsi, nel castello di Solanto a Santa Chiara.

La coppia ritrovata fu benedetta da Visconti, convinto di essere riuscito a imbrigliare il “suo” Alain (“Ha bisogno di Romy – disse – altrimenti si perderebbe dietro ogni sottana”) sia pure per interposta persona. L’imbrigliamento, in effetti, durò quindici giorni, poi la Schneider fu invitata a ripartire.

Qualche settimana dopo, per mostrarle di aver messo la testa a posto, Delon si fece fotografare, sulle pagine a colori del settimanale “Bolero” mentre chiedeva alla banda di Ciminna d’improvvisare una serenata a lei dedicata durante una pausa della scena dell’arrivo a Donnafugata. Negli altri scatti di quell’unico reportage a lui dedicato, l’attore posa da divo mentre coccola l’alano Bendicò (il cui nome vero era Wotan), e mentre si distende a mostrare il profilo irresistibile sullo sfondo di un paesaggio siciliano che più brullo non si può. Per lui Il Gattopardo costituì uno spartiacque: il vitalismo malinconico del suo Tancredi, le rughe che gli aggrottano la fronte, evidenziano la metamorfosi dell’Adone ribelle e dolente (il memorabile Rocco viscontiano), il passaggio dalla giovinezza alla maturità dell’uomo e dell’attore. Delon stava diventando Delon-e-basta, subendo l’effetto di quella osmosi che consente al divo, e solo a lui, di recitare per sottrazione (come sanno fare gli attori orientali), sovrapponendo la propria maschera al personaggio e consegnarla alla leggenda. I critici dell’epoca apprezzarono poco il suo Tancredi, ma dall’uscita del film a oggi chiunque lo abbia immaginato tra le pagine di Tomasi si è visto crescere in testa Alain, vicino come un sogno.

 

 

 

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